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[ 2a figura inesistente (sinottica) ]

Quando le scarpe fanno il paio Camminar non è più un guaio

Dur. 12' 12"
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Non è possibile scoprir nulla circa la cosità dell’opera fin che non si è chiarito il puro stare-in-sé dell’opera. Ma è possibile accedere all’opera in sé stessa? Perché ciò potesse felicemente riuscire bisognerebbe poter sottrarre a tutti i rapporti che essa ha con ciò che essa stessa non è, onde lasciarla, da sé, riposare in sé stessa.[1]

 

Se le merci potessero parlare, direbbero: il nostro valore d’uso può interessare gli uomini. A noi, come cose, non compete. Ma quello che, come cose, ci compete è il nostro valore. Questo lo dimostrano le nostre proprie relazioni come cose-merci. Noi ci riferiamo reciprocamente l’una all’altra soltanto come valori di scambio.[2]

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Ma questo è proprio lo scopo dell’artista stesso, lasciar essere l’opera nel suo puro sussistere in sé stessa. È  proprio della grande arte – e di questa soltanto qui si discorre – il porsi dell’artista di fronte all’opera come qualcosa di indifferente, come una specie di momento passeggero annullantesi nell’oprare stesso in vista della produzione dell’opera.[3]

 

 

 

D’altra parte, quest’astrazione del lavoro in generale non è soltanto il risultato mentale di una concreta totalità di lavori. L’indifferenza verso il lavoro determinato corrisponde a una forma di società in cui gli individui passano con facilità da un lavoro ad un altro e in cui il genere determinato del lavoro è per essi fortuito e quindi indifferente. Il lavoro qui è divenuto non solo nella categoria, ma anche nella realtà, il mezzo per creare la ricchezza in generale, e, come determinazione, esso ha cessato di concrescere con gli individui in una dimensione particolare.[4]

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Solo l’opera ci può dire che cosa sia l’arte. Si potrà osservare che ci andiamo muovendo in un circolo vizioso…
Dobbiamo quindi muoverci in circolo. Ma non si tratta né di un ripiego, né di un difetto. Nel percorrere questo cammino sta la forza del pensiero, e nel non uscire da esso la sua festa, posto che il pensiero sia un mestiere.[5]

 

Il carattere sociale dell’attività, così come la forma sociale del prodotto  e la partecipazione dell’individuo alla produzione, si presentano qui come qualcosa di estraneo e di oggettivo di fronte agli individui; non come loro relazione reciproca, ma come loro subordinazione a rapporti che sussistono indipendentemente da loro e nascono dall’urto degli individui reciprocamente indifferenti. Lo scambio generale delle attività e dei prodotti, che è divenuto condizione di vita per ogni singolo individuo, il nesso che unisce l’uno all’altro, si presenta ad essi stessi estraneo, indipendente, come una cosa.[6]

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La contadina calza le scarpe nel campo. Solo qui esse sono ciò che sono… E’ nel corso di questo uso concreto del mezzo che è effettivamente possibile incontrare il carattere di mezzo.[7]

Il singolo mezzo viene consumato e logorato; ma anche l’usare incappa nel frattempo nell’usura, si ottunde e diviene comune. Così lo stesso esser-mezzo si corrompe e decade a mero mezzo.
Questa devastazione dell’esser-mezzo è il dileguare della fidatezza.
Il deperimento a cui le cose d’uso debbono la loro la loro noiosa e importuna abitualità non è che un segno dell’essenza originaria dell’esser-mezzo.[8]

 

Il consumo produce la produzione in duplice modo: 1) in quanto solo nel consumo il prodotto diviene un prodotto effettivo. Per esempio un vestito non diviene realmente un vestito che per l’atto di portarlo; una casa che non è abitata, non è in effetti una vera casa; il prodotto, quindi, a differenza del semplice oggetto naturale, si afferma, divie-ne prodotto soltanto nel consumo. Dissolvendo il prodotto, il consumo gli dà veramente l’ultima rifinitura; giacchè il prodotto è la produzione non soltanto come attività oggettivata, ma pure come oggetto per il soggetto attivo; 2) in quanto il consumo crea il bisogno di una nuova produzione e quindi quel motivo ideale che è lo stimolo interno della produzione e il suo presupposto.”[9]

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L’opera si fa reale proprio nel corso del fare e per la sua realtà dipende da esso; ciononostante o proprio per questo l’essenza del fare dipende dall’essenza dell’opera.[10]

 

…il lavoro viene non solo consumato, ma nello stesso tempo fissato, materializzato dalla forma di attività a quella di stasi, di oggetto; mutandosi in oggetto, esso muta la sua forma caratteristica, e da attività diventa essere. Il processo termina col prodotto…nel quale la materia prima si presenta unita col lavoro…[11]

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Ma l’opera è ancora opera se è sottratta a ogni sorta di rapporto? Non è proprio dell’opera essere al centro di rapporti? Certamente; bisogna però stabilire di qual genere di rapporti si tratta.[12]

 

La produzione di un individuo isolato al di fuori della società – una rarità che può capitare ad un uomo civile sbattuto per caso in una contrada selvaggia, il quale già possiede in sé potenzialmente le capacità sociali – è un tale assurdo quanto lo è lo sviluppo di una lingua senza individui che vivono insieme e parlino tra loro.[13]

[1] - Heidegger, Origine Ni68,  p. 25.
[2] - Marx, Capitale, 1.1 pag. 97.
[3] - Heidegger, Origine Ni68, p. 25.
[4] - Marx, Lineamenti, cit. pag. 31-32.
[5] - Heidegger, Origine Ni68, p. 4.
[6] - Marx, Lineamenti, cit. p. 97-98
[7] - Heidegger, Origine Ni68, p.18-19
[8] - Heidegger, Origine Ni68, p. 20.
[9] - Marx, Lineamenti, cit. p. 15.
[10] - Heidegger, Origine Ni68, p. 45.
[11] - Marx, Lineamenti, cit. p. 285.
[12] - Heidegger, Origine Ni68, p. 26
[13] - Marx, Lineamenti, cit. p. 5.
FIGURA ESISTENTE (in alto): Hans-Georg Gadamer e Martin Heidegger raccolgono e tagliano legna nella Foresta Nera, Germania 1923.






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parte quarta H.D.S. MAROQUINERIES